Il fiore del deserto

SILVIA CANTON

Il Fiore del Deserto


A cura di Martina Cavallarin con Antonio Caruso

Coordinamento culturale e scientifico Christian Leo Comis

Organizzazione Unlike Unconventional Events

in collaborazione con Musei Civici di Treviso - Sede Santa Caterina


Piazzetta Mario Botter 1, Treviso

28 ottobre - 27 novembre 2023

Opening 28 ottobre ore 16.00

Unlike Unconventional Events - società che si occupa di eventi e mostre d’arte contemporanea e che sviluppa piani di lavoro Arte / Impresa, atti a innalzare il valore dell’azienda attraverso il dispositivo Opera - presenta presso gli spazi del Museo Santa Caterina di Treviso, l’esposizione personale di Silvia Canton, a cura di Martina Cavallarin con Antonio Caruso, e il coordinamento culturale e scientifico di Christian Leo Comis.


Premessa

Dal 26 al 30 ottobre 2018 la tempesta Vaia, raro fenomeno meteorologico, si è abbattuta sulle province di Belluno e Trento e, in modo minore, anche in Alto Adige, Lombardia e Friuli Venezia Giulia. Il forte vento di scirocco, soffiando tra i 100 e i 200 km/h, ha schiantato al suolo milioni di alberi e distrutto migliaia di ettari di foreste di conifere.

Un anno dopo, il 12 novembre 2019, una marea distruttiva associata a eccezionali e potenti raffiche di vento si è abbattuta su Venezia e il litorale veneto in quella che è stata definita la seconda marea più alta della storia della Serenissima. L’acqua ha sommerso la città lagunare fino a un’altezza di 187 centimetri, e il vento di scirocco ha spinto il mare dove non era mai arrivato prima.


Da questo territorio di indagine nasce Il Fiore del Deserto. Il progetto artistico è una denuncia dolce ma inesorabile, disegnata con il pennello e costruita con materiali di recupero. Si tratta di un processo che parte da lontano e mette in dialogo due realtà geografiche che, quasi all’unisono, echeggiano come un grido del pianeta, l’evidenza di una crisi già in atto, tangibilmente presente.


Il titolo

Scrive Martina Cavallarin: “Il Fiore del Deserto prende spunto dalla poesia La ginestra o il fiore del deserto, appunto, di Giacomo Leopardi. Questa pianta rappresenta la fatica dell’uomo nel superare la sofferenza. Essa è metafora poetica e artistica delle straordinarie capacità insite nell’essere umano, nasce in luoghi impervi come ambienti vulcanici e desertici, tuttavia è bella e profumata. E la poetica di Silvia Canton lavora su tale dualismo errante narrando di catastrofi annunciate e di effetti collaterali prodotti dal fare umano. Il luogo simbolico che la sua arte veicola e diffonde intende catalizzare anche l’attenzione dei visitatori più distratti giacché l’opera d’arte è dispositivo potente e indipendente, massaggiatore infaticabile del muscolo atrofizzato della coscienza collettiva. La natura sta mutando e noi siamo prevaricatori, la schisi è in atto, ma la promessa del cambiamento non può e non deve mancare.”


La mostra

La mostra si articola in un percorso espositivo che, partendo da questi due disastri ambientali, prevede l’esposizione di 15 opere disposte in un allestimento che apre al dialogo e al confronto.

Da un lato della sala espositiva lo spettatore incontra una ricerca pittorico / scultorea basata sul recupero del legno degli alberi schiantati da Vaia. Cortecce e rami anneriti e inumiditi dal trascorrere degli anni con il susseguirsi di nevicate e piogge. Materiali raccolti personalmente dall’artista a Marcesina e in altre località e sottoposti a un lavoro di ripulitura, disinfestazione e fissaggio con resina, affinché possano esprimere con le loro fibre spezzate e accartocciate da quel furioso vento e dal trascorrere del tempo, tutto il dolore delle ferite inferte da quella furia.

Si tratta di tele di differenti misure realizzate con tecnica mista su tela - pasta di ferro e foglia simil oro argento, come nell’antica tecnica della doratura e dell’argentatura, al fine di sottolineare preziosità e unicità della fragile e potente natura montana.

A distanza di anni, moltissimo materiale è stato già recuperato, nuove piante sono nate e altre saranno piantate, ma quei tronchi e quelle cortecce che ancora giacciono a terra hanno un valore inestimabile perché portatrici di un dramma storico e reale per le popolazioni e le culture che ruotano attorno a esse. Raccogliere e ricomporre quel legno in un procedimento lentissimo e fatto di immensa pazienza è un atto doveroso dell’artista a futura memoria, al fine di preservare e mantenere viva la testimonianza.

Dall’altro lato della sala espositiva si sperimenta il tormentato e conflittuale rapporto di Venezia con l’acqua. L’unicità della Laguna che accoglie la città attribuendole un’indiscussa individualità, al contempo, ne costituisce anche una minaccia, marea dopo marea, anno dopo anno.

I lavori che si presentano al cospetto dello spettatore sono tele dalla finissima trama di cotone, nelle quali le cupole della Basilica di San Marco e altri scorci decorativi e architettonici, fluttuano immersi in un liquido silenzioso costituito di velature di pigmenti verdi. La sensazione è di un’acqua che trasporta frammenti delle stesse cortecce che i lontani boschi restituiscono al mare… quel mare dove tutto alla fine confluisce e si fonde.

La perla lagunare, ammirata e conosciuta nella sua fragile ricchezza, testimonianza di un fastoso passato, è forse destinata a essere sommersa, inghiottita da quell’Acqua Granda che ha scosso il mondo per la violenza con la quale l’ha attraversata.


Quasi a riassumere il compendio scientifico da cui ha tratto ispirazione Silvia Canton, l’intervento multimedia di Paolo Spigariol con le musiche di Giuseppe Laudanna, dal titolo Se i boschi, un giorno… e se i mari, un giorno… ricostruisce il repentino turbinio di eventi temporalmente e geograficamente prossimi. Il filmato unisce le testimonianze tratte dal progetto Aquagranda, una Memoria Collettiva di D.V.R.I. (Distretto Veneziano Ricerca e Innovazione) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dal film fotografico Clorofilla, realizzato da Spigariol stesso. Le immagini agghiaccianti e le voci febbrili riflettono l’essenziale testimonianza, restituendo il pathos al visitatore e trasmettendo uno spunto di riflessione che è necessario trasformare in azione, come l’artista fa con la sua ricerca.


Scrive Antonio Caruso: “Il progetto supera la divulgazione e tocca la coscienza, sviluppando gli anticorpi alla biofobia e incentivando la capacità di generare un’antitesi al senso comune del vivere e del relazionarsi con l’ambiente. La pratica artistica di Silvia Canton crea zone di contatto in cui i molteplici e spesso opposti punti di vista - scientifici ed emotivi, naturali e culturali, concettuali e operativi - possono incontrarsi e mescolarsi nello spazio mostra, distruggendo schemi mentali e sistemi di pensiero codificati e offrendo spunti di riflessione che sviluppino un processo di risposta e di adattamento allo sconvolgimento climatico in essere.”


Eventi collaterali

La mostra è coadiuvata da due eventi collaterali in collaborazione con Associazione Spazio Zephiro, insieme a enti e istituzioni impegnate nell’opera di sensibilizzazione collettiva a sostegno di una consapevolezza attiva e che, con un profilo empirico e scientifico, accompagnano la ricerca artistica di Silvia Canton.

Sabato 18 novembre alle 16.00, presso la Sala Coletti del Museo, la Conferenza “Vaia e Acqua Granda - Messaggeri della crisi climatica” guiderà, in ottica divulgativa, a esplorare i fili sottili che uniscono clima, innalzamento delle maree e tempeste naturali, attraverso gli studi di Sandro Carniel, oceanologo Dirigente di Ricerca presso l’Istituto di Scienze Polari del CNR in Venezia, e agli excursus della dott.ssa Forestale Paola Favero, scrittrice, già comandante dell’Ufficio per la biodiversità di Vittorio Veneto del Corpo Forestale dello Stato.

Sabato 25 novembre, sempre alle 16.00 in Sala Coletti, “Cambiare il cambiamento: azioni di Sostenibilità possibile” proporrà una doppia riflessione sul cambiamento climatico e le strategie possibili. Verrà presentato e proiettato “AquaGranda. Una memoria collettiva digitale”, progetto in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, a cura di Marco Cosmo, Direttore del Distretto Veneziano della Ricerca e dell’Innovazione (D.V.R.I.); Marco Paladini, archeologo e responsabile campagna di raccolta memorie dell’Archivio AquaGranda e Carlo Santagiustina, supervisore scientifico dell’Archivio AquaGranda. Chiuderà l’evento un dibattito attorno alle azioni sostenibili oggi possibili nel mondo della produzione responsabile, con le testimonianze e le buone pratiche di Labomar, B-Corp specializzata in nanotecnologie, Cantina Pizzolato e Amorim Cork, produttore internazionale di sughero ed esperto in riuso creativo. Modera il Dott. Tommy Meduri, esperto in processi e bilanci di sostenibilità.



SILVIA CANTON

Il Fiore del Deserto


A cura di Martina Cavallarin con Antonio Caruso

Coordinamento culturale e scientifico Christian Leo Comis

Organizzazione Unlike Unconventional Events

In collaborazione con i Musei Civici di Treviso - Sede Santa Caterina




con il Patrocinio di:

Comune di Treviso

Musei Civici di Treviso

Distretto Veneziano Ricerca e Innovazione D.V.R.I.


grazie al contributo di:

Università Ca’ Foscari di Venezia

Spazio Zephiro Associazione Culturale

Verde a nordest


grazie al supporto di:

Amorim Cork Italia

Impresa C.E.V.

Cantina Pizzolato

Studio Roncato

Labomar

Rete 231

Favini


si ringraziano:

Giuseppe Laudanna

Paolo Spigariol  

 

identità visiva Zeppelin Studio


Musei Civici di Treviso - Sede Santa Caterina

Piazzetta Mario Botter 1, Treviso

28 ottobre - 27 novembre 2023

Opening 28 ottobre ore 16.00

Dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.00

Per maggiori informazioni

 +39 0422 658954

 info@museicivicitreviso.it


www.museicivicitreviso.it

www.unilke.events

Steven Halpern Dialogo con il guru che inventò la musica new age - intervista di Filippo Bordignon

https://www.ondarock.it/interviste/stevenhalpern.htm

Steven Halpern, ovvero, l’inventore della musica new age. Anzi, meglio, lo scopritore di un approccio rivoluzionario d’intendere la musica che, quando il compositore lo teorizzò attraverso dischi, concerti e conferenze, riprese di fatto il bandolo della matassa lasciato da Athanasius Kircher, sconosciuto ma geniale gesuita tedesco vissuto nel Seicento, e dal medico britannico Richard Brocklesby, un secolo più tardi.
Halpern, newyorkese, classe 1947, si formò nei Sixties con il pallino del jazz; ben presto, però, la volontà di pervenire a soluzioni in bilico tra composizione e improvvisazione, lo condusse nei lidi dell’esoterismo sonoro, del minimalismo oltranzista, delle possibilità microtonali attraverso la tradizione folklorica orientale, sperimentando, principalmente, con pianoforte e sintetizzatori. A differenza dell’ambient coniato dal britannico Brian Eno nello stesso periodo, siamo a metà dei Seventies, la musica della “Nuova Era” non si proponeva in veste di sottofondo per le molteplici situazioni della vita; essa assurse al ruolo di accompagnamento nell’infinito processo migliorativo a cui aspirano gli esseri umani, divenendo traduzione in note di un impulso biofilo, spirituale, senza bisogno di affiliarsi a questa o quella religione. Erano gli esordi della musicoterapia moderna, sviluppata scientificamente nei decenni successivi da istituzioni quali il dottor Rolando Benenzon e Cliff Madsen.
Riportando sul Pianeta Terra le più eteree intuizioni dei “corrieri cosmici” tedeschi, Halpern diede inizio a un genere oggi diramatosi in centinaia di stili e varianti, un genere condiviso con compagni di avventura consegnati alla Storia (su tutti, Iasos e Constance Demby), oltre che da un inevitabile codazzo di scopiazzatori o, peggio, venditori di fuffa.
Dall’estatico esordio nel 1975 “Christening For Listening” a oggi, Halpern ha vissuto una carriera prolifica e pluripremiata, macinando vendite record ma ostinandosi nella ricerca di nuove sfide e collaborazioni che ampliassero le possibilità del suono di schiudere l’anima e trasfigurarla, mostrandole, cioè, mediante una musica che si fa luce, il volto dell’uomo che torna alla sua origine divina.

 





PoeMusìa

Si riapre il giardino del B&B con il ritorno di PoeMusia, l'unione tra la poesia di Edoardo Gallo e la musica del compositore Giuseppe Laudanna che amplifica la forza emotiva della Poesia stessa.
Un’unione tra Poesia e Musica, un neologismo per contenere l'emozione di queste due arti in un' unica parola.
Ed ecco che dall' emozione della Poesia nasce la prima nota, non un accompagnamento improvvisato, ma una struttura artistica che
porta la Musica a valorizzare le parole e la Poesia a valorizzare le note in completa fusione, in un amplesso artistico dal quale nasce questo straordinario spettacolo.
Posti limitati, necessaria prentazione via whatapp 3480847714.
In caso di maltempo, l'evento verrà rinviato al 21 maggio.

"Aulos,Il soffio"

“Aulos, il soffio” è il brano singolo uscito oggi 2 maggio e che potete ascoltare e scaricare in tutte le piattaforme digitali.

Il brano precede l’uscita ormai imminente del nuovo CD realizzato con Giuseppe Laudanna per l’etichetta RadiciMusic Records e inserito nella nuovissima collana Labyrinth Musik dedicata alla world music contemporanea.

Il nuovo album si intitolerà “aeternitas” e presto presenterò in questa pagina la copertina e i titoli dei brani.

“Aeternitas” contiene brani originali e tradizionali composti e arrangiati da me e Laudanna.

In due tracce c’è anche la gradita collaborazione dell’amico percussionista Luca Nardon.

Nel brano “aulos, il soffio” che state ascoltando, suono un monaulos proveniente dall’isola di Santorini, realizzato da Yannis Pantazis, musicista e costruttore di strumenti musicali ispirati all’antica Grecia e fondatore di Symposion Santorini.

Il monaulos è un piccolissimo strumento ad ancia battente dal suono molto potente ed evocativo. Un aulòs a una singola canna diffuso soprattutto ad Alessandria nel periodo ellenistico.


PoeMusìa  Edoardo Gallo - Giuseppe Laudanna

POEMUSIA:
un’unione tra Poesia e Musica, un neologismo per contenere l'emozione di queste due arti in un'unica parola. E di più ancora PoeMusia è una Musa che tenta di rappresentare l'ideale supremo dell'arte in un momento storico dove la parola "perduti" è sinonimo di "umanità" e dove "ritrovati" deve essere l'obiettivo comune di tutti per ritrovare quel senso di comunione, di bellezza e di amore senza il quale non possiamo vivere.
PoeMusìa pone il suo primo seme da un'intuizione di Gallo e Laudanna per il bisogno e la volontà di esprimere la forza emotiva della Poesia dell'uno attraverso la tenace empatia della Musica dell'altro:
reciprocamente, scambievolmente. Poesia e Musica, complici dentro un riverbero nella prima luce del mattino che riflette i colori del cosmo in una pozza d'acqua e dalla pozza ritornano al cosmo carichi di tutta la necessaria umanità che desideriamo.
Ed ecco che dall'emozione della Poesia nasce la prima nota e poi lo spartito e poi una Musica "cantata" dalla Poesia, non un accompagnamento improvvisato ma una struttura artistica che porta la Musica a valorizzare le parole e la Poesia a valorizzare le note in completa fusione, in un amplesso artistico dal quale nasce questo straordinario spettacolo.